
Tutto ciò che si sa con certezza di Josip Ilicic è che da qualche giorno è in Slovenia: non si sta allenando, è in permesso concesso dal suo club per ritrovarsi e mettersi alle spalle un periodo difficile che lo ha allontanato dal calcio, e dunque dall’Atalanta. Dal miglior momento della sua carriera, dal pallone finalmente ritrovato dopo il lockdown, dalla fatica dei primi allenamenti mostrata senza vergogna, in post sorridenti con l’amico Papu Gomez. Da un finale di campionato con il sogno del secondo posto alle spalle della Juve. Soprattutto dalle final eight di Champions League: ce l’aveva trascinata lui l’Atalanta fino a Lisbona, con un gol a San Siro e poi uno straordinario poker a Mestalla, per disintegrare definitivamente il Valencia.
Il resto è un mistero, avvolto dai suoi silenzi e da quello del suo entourage, dal riserbo del club nerazzurro che sta cercando di proteggere il giocatore come lui desidera. Ilicic ha patito come tutti e più di tutti l’emergenza coronavirus: l’ha vissuta nel cuore dell’incubo, l’ha sofferta intimamente. Josip è sempre stato un ragazzo molto sensibile e tanto smarrimento improvviso, tanto dolore intorno, gli hanno smosso pensieri e sentimenti difficili da controllare. La lontananza forzata dalla famiglia ha fatto il resto: è stato come un corto circuito psicologico a spegnerlo giorno dopo giorno.

A togliergli la gioia degli allenamenti, anche della fatica («Non so chi abbia convinto Ilicic ad ammazzarsi così di lavoro», aveva detto Gasperini prima che scattasse l’allarme). La certezza di poter resettare tutto e ricominciare come se nulla fosse stato. Tutti a Bergamo hanno fatto il possibile per rivedere il più in fretta possibile il vero Ilicic. I tifosi, anche non sapendo bene i motivi della sua assenza, si sono schierati dalla sua parte soprattutto con iniziative social, il modo più rapido per fargli arrivare il loro sostegno: in tanti hanno cambiato la propria foto profilo di Facebook, Whatsapp e altri social network, sostituendola con quella dello sloveno.
Lo hanno rincuorato i compagni, soprattutto quelli ai quali è più legato, che meglio di tutti conoscono il suo cuore ma anche le sue fragilità, i suoi alti e bassi di umore, la difficoltà di riaprire il viso ad un sorriso, nei suoi momenti difficili. Ha provato a spronarlo Gasperini, che gli vuole bene come a un figlio: lo ha confortato, ha provato a ridargli fiducia a parole e anche consegnandogli una maglia da titolare addirittura contro la Juventus, per se dopo apparizioni poco convincenti contro la Lazio, l’Udinese, il Cagliari, la Sampdoria.
Ma neanche quella sera allo Stadium scattò la scintilla giusta: fu lì che diventò inevitabile rinunciare all’idea di recuperarlo per Lisbona (e Gasperini lo ha detto poi chiaramente la sera della vittoria a Parma) e scegliere la strada del recupero graduale. In Slovenia, a casa sua, nei boschi dove ama passeggiare. Lì spera di sentirsi meglio: a Bergamo, a Zingonia, non ci riusciva più.
La Gazzetta dello Sport