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Antognoni: “Legame infinito con la Fiorentina, chi promette amore deve farlo con i fatti”

Fᴏᴛᴏ ᴅɪ ᴘʀᴏᴘʀɪᴇᴛᴀ̀ ᴅɪ ᴀᴄꜰ Fɪᴏʀᴇɴᴛɪɴᴀ. Vɪᴇᴛᴀᴛᴀ ʟᴀ ʀɪᴘʀᴏᴅᴜᴢɪᴏɴᴇ ®️

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Antognoni: “Legame infinito con la Fiorentina, chi promette amore deve farlo con i fatti”

Redazione

1 Aprile · 10:32

Aggiornamento: 1 Aprile 2021 · 10:32

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Fᴏᴛᴏ ᴅɪ ᴘʀᴏᴘʀɪᴇᴛᴀ̀ ᴅɪ ᴀᴄꜰ Fɪᴏʀᴇɴᴛɪɴᴀ. Vɪᴇᴛᴀᴛᴀ ʟᴀ ʀɪᴘʀᴏᴅᴜᴢɪᴏɴᴇ ®️

Nel giorno del suo compleanno, la bandiera della Fiorentina Giancarlo Antognoni ha parlato ai media ufficiali della Fiorentina attraverso una bellissima intervista. Queste le sue parole:

“Sono nato in una casa di campagna, non c’era niente, non c’era nessuno, e i primi otto anni della mia vita li ho passati così, a giocare nell’aia. Eravamo contadini. Poi mio nonno acquistò tre appartamenti a Perugia, per i tre figli, vendendo la casa in campagna e i terreni. Quindi mi trasferii a Perugia, e lì iniziò il mio percorso calcistico.

Avevo una passione per il calcio sfrenata, e a 10-12 anni mi iscrissi a una squadra di prima categoria. Iniziai il percorso di ogni ragazzino, con tutte le condizioni dell’epoca, che oggi non ci sono. Iniziai a disputare le partite con loro.

Poi mi notarono, e a 15 anni andai a fare un provino per il Torino. Il Toro prese me insieme a un altro ragazzo di Perugia, e quindi mi trasferii a Torino. Fu un percorso breve. Lì iniziai già a pensare di poter continuare a fare il calciatore, non dico a livello professionistico, ma eravamo inquadrati in un modo diverso. Il Torino mi mandò ad Asti, era una sua succursale, giocava in Serie D.

C’è stata una precocità molto veloce da parte mia. E’ anche difficile dire gli step che ho fatto, è andato tutto così velocemente. Giocare, giocano tutti. Poi ne arrivano pochi.

Giocai tre anni ad Asti, feci bene, e mi notò la Fiorentina. Già tra i 15 ed i 18 anni si vedevano in campo le mie qualità. A 16-17 anni giocavo in Serie D, mi misi in evidenza lì. Ogni tanto venivo a Firenze, convocato nelle nazionali giovanili a Coverciano. Davo nell’occhio. E la Fiorentina cominciò a seguirmi. A quell’età tutti parlavano bene di me. Mio fratello che mi seguiva può confermarlo. Ero sicuramente un giocatore appariscente. A 16 anni essere convocato in Nazionale Juniores giocando in Serie D era poco comune, c’erano tutti giocatori di Serie A praticamente.

La differenza si notava dal punto di vista tecnico. La gente si meravigliava. Ero molto magro, esile, però avevo questo calcio potente già da bambino. Si notavano i miei lanci, i miei gol da fuori area. ‘Giocare guardando le stelle’ è un qualcosa di naturale, difficilmente si impara. Devi avere la visione di gioco.

Arrivai a Firenze a 18 anni, come ragazzo della Primavera. C’erano le gerarchie. Rispettavo il capitano, De Sisti. Ero addirittura in camera con lui, ero giovane ed ero anche un pò in difficoltà. Alla terza giornata di quella stagione di Serie A era squalificato De Sisti, e Liedholm mi fece giocare. Poi ‘Picchio’ andò via e presi io il suo posto, la fascia da capitano e il numero.

E’ andato tutto velocemente. A 18 anni in prima squadra, a 20 in Nazionale, a 21 capitano della Fiorentina. Quando sono arrivato ero legato a Roggi, Guerini, e tutti i giocatori che avevano più o meno la mia età. Moreno Roggi è stato mio compagno di appartamento anche quando sono arrivato a Firenze. All’inizio eravamo in villa in via Carnesecchi, poi ci siamo spostati in appartamento insieme. Eravamo 4 o 5 giovani nella Fiorentina, emergenti, bravi. Guerini, Roggi, Desolati, Caso… Poi dopo sono arrivati gli stranieri, come Bertoni e Passarella.

In campo mi divertivo un pò con tutti, dai giovani all’inizio come Caso e Casarsa, a Bertoni. Chiaramente, negli anni ’70 avevamo un tipo di squadra, dopo il 1980 invece abbiamo sfiorato lo Scudetto, avevamo una squadra competitiva, con Graziani, Pecci, Bertoni, Passarella.

Con i tifosi ho sempre avuto un ottimo rapporto. A Firenze mi hanno sempre trascinato. Non sono mai voluto andare via, nonostante le offerte di squadre importanti. Ma ero legato a Firenze. La Juventus mi voleva nel ’78, ma di comune accordo con il presidente non andai. Nel 1980 mi voleva la Roma, andai a cena dal Presidente Viola, ma gli dissi di no.

Potrei parlare all’infinito del legame con Firenze. E’ stato subito forte, fin da quando sono arrivato. Quando uscivo non mi criticavano mai. Sono rimasto perché sono sempre stato bene. Anche quando giocavo male – era difficile che giocassi male eh (ride, ndr) – i tifosi mi hanno sempre voluto bene, mi perdonavano alcune prestazioni sottotono. Ero sempre ‘Antognoni’. L’impegno non è mai mancato, assolutamente. Ci sono state annate anche negative, nel ’77 abbiamo sfiorato la retrocessione.

Le emozioni più grandi sono state l’esordio, il primo gol, e in generale le varie prime volte. Ci sono stati periodi belli e brutti. Qualche trofeo, anche se pochi purtroppo. Ricordo la Coppa Italia nel ’75 in finale contro il Milan. Poi la partita d’addio; fu molto bella per l’affetto della gente, anche se difficile.

L’amore dei tifosi per me si tramanda di generazione in generazione, da padre a figlio. Il tifoso fiorentino è legato ai colori, alla maglia. E chi ha dimostrato con i fatti, e non con le parole, di rimanere legato alla città e alla squadra, viene sostenuto sempre. Vuol dire che le scelte fatte hanno un valore.

Il rapporto con i tifosi è stato un colpo di fulmine. C’erano 1000-1500 persone ogni giorno a vedere gli allenamenti. E lì è iniziato il rapporto con i fiorentini. I miei trofei sono l’amore dei tifosi. La carriera di ogni giocatore ha una durata, ma l’amore tra me e Firenze dura all’infinito.

Una volta finito di giocare c’è chi rimane nel mondo del calcio e chi si allontana. Rimanendo all’interno di una squadra è più facile capire certe dinamiche e difficoltà, soprattutto in un periodo complesso da un punto di vista di risultati come quello attuale. Io vivo la quotidianità della squadra e dello spogliatoio, e quindi è più comprensibile dall’interno capire le complicazioni. L’imprevisto c’è sempre. Ma dall’interno si conoscono meglio le dinamiche e quindi è più facile capire le difficoltà e giudicare le situazioni.

A volte mi meraviglio dei giudizi severi di alcuni ex calciatori. Magari giudicano anche con affetto, ma senza avere una panoramica veritiera e completa delle situazioni. Uomini che sono stati prima giocatori e alcuni anche dirigenti. Devono capire le difficoltà interne, in questo contesto. Le hanno vissute anche loro da giocatori. Ragazzi che conoscono e capiscono le difficoltà sia in campo che fuori, ragazzi che hanno vissuto queste esperienze. Certe volte certi giudizi sono troppo azzardati.

Posso capire il tifoso che si lamenta di certe cose, ma non chi ha giocato a calcio, anche ad alti livelli. Da fuori è più facile sparare a zero, senza magari conoscere certi meccanismi.
I meccanismi della rete social poi informano male: una notizia magari falsa si trasmette molto più velocemente, rendendo tutto ancora più complicato. Se uno non conosce certe dinamiche interne è meglio che non esprima giudizi affrettati”.

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