Enrico era un campione a fine carriera. Deciso a spendere in Serie C, a Figline, le ultime riserve del suo straordinario talento. In panchina c’era mister Leonardo Semplici e, tra i due, l’intesa fu immediata. Stima, fiducia, intesa, rispetto reciproco.
Da una parta un allenatore che iniziava la sua personale scalata. Dall’altra (appunto) un fuoriclasse arrivato a fine corsa. Eppure, Enrico, non ha mai fatto pesare il suo passato. Così come l’attuale mister della Spal ha saputo porsi, sempre, nel modo corretto. Non a caso, i due, hanno ancora oggi uno splendido rapporto, e si sentono spesso. «Quando eravamo a Figline parlavamo sempre di Fiorentina, raccontò l’anno scorso Chiesa senior al Corriere Fiorentino, e nemmeno ricordo quante volte dovetti raccontargli i miei gol. È davvero innamorato dei viola».
Talmente tanto da sognare, un giorno, di poterci tornare. Di certo, da queste parti, ha lasciato uno splendido ricordo. Merito dei risultati ottenuti alla guida della Primavera, con la quale seppe coltivare diverse pianticelle preziose. Tra queste, Federico Chiesa. Quel bambino che, quando Semplici allenava babbo Enrico, iniziava ad assaggiare (da raccattapalle) l’erba del Franchi.
«Il mister è stato il primo a chiamarmi in Primavera quando ancora giocavo negli Allievi, ha raccontato l’altro giorno Fede, non finirò mai di ringraziarlo». Già. Perché a quei tempi, il 25, era un ragazzino sul quale non tutti erano pronti a puntare. Anzi. Sembrava (quasi) uno dei tanti.
Di certo, nessuno avrebbe scommesso su un futuro da bimbo prodigio del calcio italiano. Semplici sì. Talmente convinto delle sue qualità da aver fatto di tutto, qualche anno più tardi, per portarlo a Ferrara. Era l’estate del 2016 e, ad un certo punto, l’affare (in prestito) sembrava fatto. Fu Sousa, a farlo saltare. «Fede resta qui, e diventerà bandiera e capitano della Fiorentina», disse il portoghese. Pareva la solita sparata buona per far parlare di sé. Era, invece, una profezia.
Corriere fiorentino