Come ogni anno, la Gazzetta pubblica un’inchiesta sui bilanci delle società di A per fare una radiografia sullo stato di salute economica del campionato. La stagione esaminata, 2020-21, è stata fortemente influenzata dalla pandemia, con gli stadi chiusi e la contabilizzazione di una quota di proventi tv e costi di gestione del 2019-20 (per via dell’allungamento della stagione al 31 agosto 2020). Due avvertenze: si parla di 2020-21, quindi ci sono squadre retrocesse (Benevento, Crotone e Parma) e non le neopromosse (Empoli, Salernitana e Venezia); i bilanci dei club che chiudono l’esercizio al 31 dicembre (Atalanta, Crotone, Genoa, Samp, Sassuolo e Torino) risentono, nei ricavi, dello stop di tre mesi dell’attività nel 2020.
Le cifre, espresse in milioni di euro, sono relative ai bilanci chiusi al 30 giugno 2021, tranne che per Atalanta, Crotone, Genoa, Sampdoria, Sassuolo e Torino (chiusura al 31 dicembre 2020). I dati del Parma sono pro-forma, visto il cambio dell’esercizio sociale (dal 30 giugno al 31 dicembre).I ricavi e i costi sono al netto di plusvalenze e minusvalenze per la cessione dei calciatori. I costi di Juve, Lazio e Roma sono ricalcolati con ammortamenti (relativi, per esempio, alla campagna acquisti), svalutazioni e accantonamenti, per uniformarli a quelli delle altre società. La voce plus minusvalenze è il saldo tra plusvalenze e minusvalenze da cessione calciatori. I debiti netti sono la differenza tra debiti e crediti.
Un miliardo di perdite e 3,4 miliardi di debiti al netto dei crediti: se fosse un’azienda qualsiasi, la Serie A dovrebbe portare i libri in tribunale. La pandemia ha inferto il colpo di grazia a un’industria calcistica che già viveva al di sopra delle sue possibilità e utilizzava spesso le plusvalenze per mettere la polvere sotto il tappeto. Lo certifica l’inchiesta della Gazzetta sui bilanci dei club del massimo campionato 2020-21. Per la prima volta, in maniera aggregata, c’è la possibilità di scattare una fotografia esauriente sullo stato di salute della Serie A nelle due stagioni dell’era Covid.
I debiti al netto dei crediti della Serie A hanno sfondato per la prima volta il tettodei3miliardi: da 2,8 a 3,4 miliardi solo nell’ultima stagione, ma fa impressione guardare il trend storico e ricordare che dieci anni fa erano 1,6 miliardi e cinque anni fa 2,1, a dimostrazione che i problemi finanziari della Serie A affondano nel tempo e sono strutturali. Continuano ad aumentare i debiti verso le banche e gli istituti di factoring: 1,6 miliardi, un centinaio di milioni in più rispetto al 2019-20, anche per effetto delle condizioni agevolate dei prestiti statali con garanzia Sace.
In salita, seppur limitatamente, i debiti verso i fornitori (quasi 600 milioni), sono invece esplosi quelli fiscali (da meno di 300 milioni nel 2018-19aoltre 500milioninel 2020-21) in virtù della sospensione dei versamenti concessa dal Governo alle imprese. Un sollievo temporaneo, ovvio, ma quelle pendenze andranno saldate. In assenza di ristori, il complesso delle norme salva-bilanci cui hanno fatto ricorso a piene mani i club di calcio rischia di avere solo un effetto placebo: i debiti con l’Erario accumulati e da pagare, ma pure i maggiori ammortamenti dei beni rivalutati, con conseguente sovraccarico dei costi negli esercizi futuri.
Controcorrente Atalanta e Verona. Gli unici club in utile In questa sfilza di perdite, due società vanno controcorrente e registrano utili: il Verona, che ha pure concesso i dividendi per il secondo anno di fila, e soprattutto l’Atalanta, che ha accumulato 129 profitti negli ultimi5anni e si appresta a festeggiare il sesto bilancio positivo.
Dal punto di vista finanziario, i club di A senza debiti bancari sono Fiorentina, Napoli e Spezia. Attualmente la più indebitata verso finanziatori esterni è l’Inter, che ha appena emesso un bond da 415 milioni, seguita dalla Roma a quota 270, mentre la Juventus ha abbattuto le esposizioni a 215 milioni grazie alla ricapitalizzazione e il Milan tiene il livello attorno ai 100milioni, relativi soprattutto ad anticipi di crediti. In una fase emergenziale come questa, la capacità dei soci di pompare risorse può fare la differenza
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